Le svastiche sono tornate di moda

di Grazia Enerina Pisano

Colosseo quadrato, EUR-Roma, maggio 2019

Giusto due giorni fa il monumento partigiano alla Brigata Cremona di Camerlona è stato macchiato da una svastica: siamo in provincia di Ravenna, Emilia-Romagna.

Il 23 gennaio ad Andria compare una svastica sulla facciata della cattedrale: siamo in Puglia. Il 24 gennaio le sedi degli scout in provincia di Noto e Siracusa vengono imbrattate da svastiche e scritte antisemite: siamo in Sicilia. Il 25 gennaio i murales dedicati al poeta Raffele Urru vengono sporcati con una svastica: siamo a Burcei, Sardegna. La notte del 27 gennaio, notte della Giornata della Memoria, a Rezzato viene sfondata la vetrina del bar Casablanca; sul pavimento la scritta “Negra, troia” seguita da una svastica come firma: siamo in provincia di Brescia, Lombardia. È sempre il 27 gennaio, Giornata della Memoria, quando viene marchiata con una svastica la porta di casa della figlia di una staffetta partigiana, di seguito la frase “Crepa sporca ebrea”: siamo a Torino, Piemonte. Il 28 gennaio fuori dalla sede del PD di Torrebelvicino spunta un volantino con scritto “27 gennaio giornata della memoria ricordiamoci di riaprire i forni: ebrei, rom, sinti, froci, negri, comunisti ingresso libero”, firmato svastica e SSVI (milizia speciale tedesca di Verona): siamo in provincia di Vicenza, Veneto. Il 1° febbraio compaiono sui muri del centro di Mirabella una serie di svastiche: siamo in provincia di Avellino, Campania. L’8 febbraio a San Daniele del Friuli, con una svastica viene segnata la porta di casa di Arianna Szorenyi, deportata ad Auschwitz il 16 giugno del 1944; “Perché dopo 75 anni un ebreo è sempre un ebreo” recitano le lettere giunte ai consiglieri dello stesso comune il 30 gennaio: siamo in provincia di Udine, Friuli-Venezia Giulia. Il 14 febbraio il sindacalista leader dell’USB Aboubakar Soumahoro denuncia via social la svastica incisa sulla propria auto: siamo a Roma, la Capitale, Lazio.

Forse per la prima volta l’Italia ha raggiunto l’unità: dal Nord baluardo del progresso, al profondo Sud, isole comprese, il nostro Bel Paese si tinge di svastiche. Svastiche rosse, svastiche nere, svastiche al contrario, svastiche di ogni tipo, svastiche a volontà. Una firma, un segno, un simbolo.

Quella croce uncinata ricordo dei tempi più bui della nostra nazione sembra essere tornata di moda. E l’apologia di fascismo sembra ormai sopravvalutata. Gli esponenti dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) si indignano accusando l’ignoranza. Gli stessi esponenti di quell’Anpi che secondo Pippi Mellone (sindaco di Nardò) sarebbero un pericolo per la democrazia. Uomini e donne di un’associazione nata il 5 aprile 1945, in un’Italia ancora monarchica, in un’Italia in cui era facile sentire il vento che fischiava di Libertà e Resistenza, in un’Italia che il 25 aprile si dichiarava apertamente antifascista.

Secondo altri, invece, si tratta di ragazzate.

Ragazzate che, in relazione alla Costituzione della Repubblica italiana, Costituzione antifascista, Costituzione figlia di un comune accordo dei padri costituenti rappresentanti di tutte le fazioni politiche, lasciano l’amaro in bocca. Ragazzate mai finite fin dai primi anni del secondo dopoguerra. Era il 25 aprile 1945 e Milano venne liberata dal Comitato di Liberazione Alta Italia. Era il 29 aprile 1945 e il corpo del duce venne appreso a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano, nello stesso piazzale in cui il 10 aprile 1944 furono fucilati 15 partigiani nell’eccidio compiuto dalla Legione autonoma della Repubblica Sociale Italiana. Era il 2 giugno 1946 e gli italiani, donne e uomini, votarono: vinse la Repubblica. Era il 25 giugno 1946 e iniziarono i lavori dell’Assemblea costituente, con l’obiettivo di redigere una Costituzione figlia di compromessi e sintesi delle differenti ideologie, apertamente antifascista. Era il 26 dicembre 1946 e il Movimento Sociale Italiano (MSI) venne fondato da uomini nostalgici del regime come Giorgio Almirante e dal suo camerata Pino Romualdi, reduci della Repubblica Sociale Italiana e vecchi appartenenti al Partito Nazionale fascista. Era il 20 giugno 1952 e fu approvata la Legge Scelba, introducendo il reato di apologia di fascismo.

Ma il MSI non fu mai disciolto, sebbene ripetutamente accusato di neofascismo. Era il 1994 e il MSI divenne MSI-Alleanza Nazionale, partito che nel 2012 avrebbe dato vita a Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale che, dopo le ultime hit, oggi registra il 12.9 % nei sondaggi politici nazionali.

Ma dalla costola del MSI nacquero tanti altri partitini, alcuni sciolti per apologia (quali Ordine nuovo e Avanguardia Nazionale), altri ancora in campo: è il caso di Forza Nuova, partito fondato nel 1997 da Roberto Fiore, terrorista nero scappato a Londra nel 1980, anno in cui i suoi camerati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro eseguono la strage di Bologna il 2 agosto: 85 vittime e mandanti identificati solo nel 2020. Nel 1982 un giudice britannico respinge la richiesta italiana di estradizione: Fiore è al sicuro. È il 21 aprile 1999 e Roberto Fiore torna in Italia ricco e libero. Soprattutto libero. Libero di guidare un partito di nome Forza Nuova, il cui slogan recita “Italia agli Italiani”, promuovendo l’abolizione delle pratiche abortiste, politiche di rinascita nazionale e di maternità, ritorno ai concordati del 1929, ripresa della riforma economica del 1926 e, soprattutto, abrogazione delle leggi Mancino e Scelba: “leggi liberticide espressioni normative di una cultura dominante che tirannicamente impedisce pensiero e azione”.

A questo punto si potrebbe tranquillamente affermare che in Italia i fascisti non esistono, che le sinistre sono ossessionate dall’idea di fascismo, che “il fascismo è un’idea morta”, come assicurato dalla parola di Matteo Salvini. Si potrebbe tranquillamente dichiarare che Bella ciao sia ormai una canzone antiquata, morta, figlia di un passato ormai superato. Oppure si potrebbe tranquillamente sostenere che si tratti di una canzone di sinistra e magari pure antifascista; una canzone da non cantare per non incorrere nel rischio di fare politica.

Perché alla fine il partigiano poteva pure morire da uomo qualunque, nel letto comodo di casa sua, sotto il fascismo, continuando a raccontare che si tratta solo di ragazzate. E invece, in nome di quel vento che forse da qualche parte fischia ancora, scelse di morire da partigiano, sepolto sotto l’ombra di un bel fior.

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