Le forze di occupazione israeliane arrestano l’attivista Issa Amro per aver documentato le violenze dell’apartheid
di Valeria Rando

È stato arrestato la sera di lunedì 28 novembre Issa Amro, attivista palestinese per i diritti umani riconosciuto dalle Nazioni Unite e fondatore del movimento Youth Against Settlements nella città occupata di Hebron, nel Sud della Cisgiordania, dopo essere stato convocato alla stazione di polizia di Ja’bara, nei pressi dell’insediamento di Kiryat Arba. La mattina del 25 novembre aveva riportato gli attacchi delle forze di occupazione israeliane, che il linguaggio mendace del sionismo definisce di difesa, contro manifestanti della sinistra pacifista israeliana, ebrei filo-palestinesi, per la fine dell’occupazione e della cieca impunità del colonialismo degli insediamenti.
Happening now , Israeli soldier beat up an Israeli Jew who came to show solidarity with Hebron civilians after the pogrom last week
Tweet di Issa Amro عيسى عمرو 🇵🇸 (@Issaamro), 25 novembre 2022
Issa è stato arrestato nel centro dell’associazione YAS (acronimo in inglese per Giovani contro gli insediamenti) fondata nel 2006, e dove da allora risiede, per contrastare, con le armi della nonviolenza e della disobbedienza civile, le aggressioni impunite dei coloni e dei soldati, e il tentativo sionista di rimozione e sostituzione dell’identità palestinese da Hebron. Pulizia etnica come mezzo indiscriminato di espansione da più di sette decenni. Il centro, chiamato in arabo Beit Sumud, casa della fermezza, della resistenza irremovibile, si erge incastrato tra gli ulivi e la discarica del quartiere di Tel Rumeida, o Jabal al-Rahma, letteralmente monte-della-misericordia,che i coloni chiamano Tel Hebron, secondo l’abituale uso di rinominare in ebraico il sostrato arabo-palestinese della città contesa che, secondo la tradizione, ospita la tomba del patriarca Abramo, capostipite comune dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. Hevron, in ebraico, Al-Khalil in arabo: l’amico. Ironica definizione per una delle aree più dense di fanatismi sionisti ultraortodossi e giornalmente colpite dagli assalti dei coloni contro ciò che resta della nativa popolazione palestinese. Delle 500 famiglie che in origine abitavano il quartiere, ne restano oggi poche decine appena. Aggressioni fisiche, schiaffi e pugni, inseguimenti con coltelli; lanci di pietre e bottiglie di vetro, urine, quando non acidi; incendi appiccati agli uliveti e alle auto, ai pochi negozi rimasti aperti, alle case; condutture idriche manomesse, tubi tagliati per dispetto, impianti elettrici distrutti, espulsioni forzate, demolizioni. Bandiere palestinesi bruciate e scritte in arabo vandalizzate. Gas the Arabs, firmato JDF (Jewish Defense League), si legge sulla porta sbarrata di una casa palestinese evacuata. Sui tetti bandierine israeliane come alla conquista dello spazio. Storia dei luoghi riscritta sulle macerie e sul sangue, cancellazione identitaria, sostituzione etnica sotto la bugia del ritorno. Nel linguaggio sionista: gestione del conflitto.

Dai tempi della Seconda Intifada, quando ha iniziato il suo attivismo nonviolento per la riapertura della Palestine Polytechnic University, dove allora studiava, Issa Amro è stato incriminato dal tribunale militare israeliano con più di venti accuse, arrestato più volte di quante si sia attivato per difendere i suoi diritti, torturato fisicamente e psicologicamente, di continuo intimidato. Ne resta, all’indomani dell’ennesimo arresto, una notifica alla famiglia che il prossimo mercoledì 30 novembre sarà portato al tribunale militare di Ofer, a Ramallah, e l’apprensione di una comunità intera, che adesso abita il centro Sumud, tra gli ulivi la discarica e il ringhiare dei coloni eccitati, per evitare che venga occupato, e la sua storia violata, cancellata e sostituita. Se non ci fosse nessuno a guardarlo, i coloni insediati illegalmente a poche decine di metri di distanza, in ciò che chiamano Admot Yishai, e nel più recente insediamento di Beit Menachem, si insinuerebbero nella residenza già più volte dichiarata zona militare chiusa, e con il consenso manifesto travestito da protezione di militari bardati la occuperebbero, dichiarandola zona loro, inneggiando al ritorno.



An Israeli settler told me that he will take the house, he was happy that the army declared the my house as a close military zone @YASHebron , the army is working ti displace the Palestinians and give our houses to the settlers. #EthnicCleansing
Twwet di Issa Amro عيسى عمرو 🇵🇸 (@Issaamro), 6 novembre 2022
Per accedervi, dall’area H2 di Hebron, quella che contiene insediamenti al suo interno, unica zona in tutta la Cisgiordania che vede palestinesi e coloni condividere gli appartamenti, ai residenti palestinesi è imposto l’attraversamento di decine di check-point, controlli, perquisizioni, abusi, umiliazioni. Raccontano Izzat Karaki e Muhanned Qafesha, due degli attivisti di YAS, che gesticolare con le mani sopra le spalle è abbastanza per essere arrestati per sei mesi sotto l’accusa di tentato attacco a un soldato. Camminare in zone vietate, come Shuhada Street, la strada dei martiri chiusa definitivamente dalla fine degli anni Novanta, altri sei mesi. Ciò che un tempo era il mercato più vivo della Palestina, e oggi è una città fantasma, con le poche case palestinesi ancora abitate senza accesso alla strada, che si scavano tunnel negli appartamenti dei vicini per scendere ai piani inferiori, con le porte serrate per facilitare l’accesso ai coloni, e le barriere di recinzione costruite per autoproteggersi dal fanatismo degli altri; quella che una volta si attraversava a fatica perché gremita di mercanti e venditori, che da casa a scuola di Izzat si passava dal mercato del pollo e lui bambino faceva sempre tardi per quanta gente c’era, e oggi la abitano i soldati e i loro fucili, le torri di controllo, i coloni che sfilano irriverenti, il silenzio, la paura, i segni di una storia erosa e riscritta; questa città invisibile e svuotata si anima all’improvviso di cori e di furori brutalità soprusi oppressioni a ogni festività religiosa, l’ultima quella di Chayei Sarah, inaugurata lo Shabbat dello scorso 19 novembre.
Tweet di Issa Amro عيسى عمرو 🇵🇸 (@Issaamro), 19 novembre 2022
Il linguaggio mendace ed edulcorato dello stato sionista, che vede l’occupazione come difesa, la repressione sleale e impunita guerra, gli arresti arbitrari di ragazzini risposta alla minaccia terroristica, gli omicidi effetto collaterale, la pulizia etnica misura preventiva, la distruzione di interi villaggi sterilizzazione di aree di tensione, e che teme la verità della documentazione, i video, la forza propulsiva dei social media, si pregia del benestare della vittoria politica della destra fanatica religiosa, uscita vittoriosa nelle elezioni dello scorso 1mo novembre, per uscire allo scoperto. Se il partito di Ben Gvir, rieletto parlamentare e residente nell’insediamento coloniale di Kiryat Arba, a poche strade di distanza da Beit Sumud, nella periferia di Hebron, non cambierà le politiche di espansione coloniale aggressiva e illegale dei coloni ebrei in Cisgiordania, sta però già rinvigorendo l’atteggiamento dispotico dei soldati dinnanzi alle telecamere, più sicuri di restare protetti nell’illegalità, più sfrontati nel promuovere con tracotanza messaggi di morte e sterminio.

Il giorno delle manifestazioni pacifiche per la cui documentazione Amro è in arresto, dopo aver preso a pugni uno degli attivisti, un soldato israeliano si è rivolto alla fotocamera di Issa minacciando che Itamar Ben Gvir in persona metterà ordine, porrà fine a ciò che YAS sta facendo a Hebron. Poi, strafottente, io-sono-la-legge-qui-e-affermo-che-state-agendo-contro-la-legge. Un telefonino contro un M16. E neanche più il pudore di nascondersi, di edulcorare, di limitare l’aggressività di fronte alle telecamere, di fronte al mondo interessato. Sulla sacca verdemilitare carica di munizioni, accanto alla stella di David un adesivo con un teschio incorniciato da un mirino, e la scritta one shot one kill no remorse I decide. Un colpo un morto nessun rimorso decido io.